Rintocchi di campane.

In F. Nietzsche, G. Keller, F. Overbeck

Karl Pestalozzi

Traduzione di Gianfranco Ferraro

1. Si sa bene come il programma di fondo di Mazzino Montinari sia stato quello di riportare Nietzsche, dalla stilizzazione di sé in quanto profeta solitario e dalla mitizzazione data delle ideologie del XX secolo, alla sua propria epoca. In altre parole: di guardarlo storicamente. In seguito a ciò si sono aperti per lui, i suoi allievi e le sue allieve, nuovi campi di attività su Nietzsche, e in questo senso soprattutto lo studio delle fonti e la ricostruzione della biblioteca del filosofo.

2. Ora, sono pochi coloro che in una maniera più conseguente e intensiva di Giuliano Campioni si siano collocati al servizio di tale attività lungo la fondamentale linea di tendenza di questo programma critico-illuministico. Campioni ha infatti esplorato instancabilmente l'opera filosofica di Nietzsche; le sue vaste letture lo mettono nella posizione di poter comprendere in modo inatteso molte citazioni nascoste negli stessi testi di Nietzsche, così come di attestarne le fonti. E questo non con l'intenzione di sminuire la specifica capacità di pensiero di Nietzsche: al contrario, semmai. Tale capacità si manifesta con una chiarezza ancora maggiore una volta collocata nello sfondo in cui i riferimenti ad altri autori vengono svelati. Ora però essa non appare più soltanto come isolata genialità, ma piuttosto come prodotto di una «infinita conversazione» con i pensatori e poeti del passato e del presente. Il fatto che i suoi espliciti o nascosti interlocutori appartengano a varie epoche e culture nazionali rende meglio comprensibile anche la varietà così lungo contesa, e spesso perfino contraddittoria, del pensiero di Nietzsche.

3. Rivelare in questo modo il contesto storico al cui interno Nietzsche pensava e scriveva ha avuto un effetto più ampio: Nietzsche ha potuto avere dei termini di paragone. Il che significa due cose: da un lato è stata relativizzata la sua pretesa di unicità, dall'altro si è profilata in modo più marcato la sua singolarità. Nello stesso momento in cui si rendeva chiaro come tanti dei grandi problemi attorno ai quali ruotava l’interesse di Nietzsche occupavano anche alcuni dei suoi importanti contemporanei, diveniva possibile riconoscere meglio le sue risposte, riconoscere in modo più nitido il suo proprium nella definizione di esse. È quanto dobbiamo mostrare più avanti in un piccolo motivo, quello delle campane della chiesa e della reazione ad esso, condiviso da Nietzsche con i suoi contemporanei Gottfried Keller e Franz Overbeck.

1. Nietzsche

4. In Umano troppo umano I l’aforisma 628 suona nel modo seguente:

5. Serietà nel giuoco. – A Genova, nel tempo del crepuscolo, sentii giungere da una torre un prolungato suono di campane: non voleva finire e risonava come insaziato di se stesso, sopra il rumore dei vicoli nel cielo serotino e nell'aria marina, così agghiacciante, così fanciullesco insieme, così melanconico. Allora mi ricordai delle parole di Platone e le sentii tutt'a un tratto nel cuore: Tutto ciò che è umano non è, in complesso, degno di essere preso molto sul serio; tuttavia[1]... (MA-628)

6. Nel suo libro Le voyage de Nietzsche à Sorrente, Paolo D’Iorio ha recentemente dedicato a questo aforisma, alla sua storia testuale e di senso, un'analisi tanto particolareggiata quanto persuasiva, col titolo di «Les cloches de Gênes et les épiphanies Nietzschéennes»[2]. L'autore studia a fondo le ipotesi biografiche, letterarie e in senso stretto filosofiche di questo aforisma riguardo l’ «Epifania» qui contenuta, che Nietzsche ha preso in considerazione per un lungo periodo persino come possibile «Epilogo» del suo primo libro di aforismi, prima di farlo finire con il «decimo e dodicesimo rintocco» e con la «filosofia del mattino» (MA-638). Si potrebbe interpretare ciò che Nietzsche formula nell'aforisma nominandolo in via eccezionale come «serietà nel gioco», come tentazione personale, emozionale e riflessiva, in un senso certamente rovesciato però rispetto a quello, cristiano-religioso, che questa parola possiede abitualmente; è la sua incredulità che per un momento vacilla dietro l'impressione prodotta dallo scampanio. È questo a provocare in lui incertezze di massima rispetto al suo nuovo pensiero, che aveva di mira ancora solo le cose del mondo e soltanto queste intendeva considerare come valide. A questo scopo egli era arrivato durante il suo soggiorno a Sorrento nell'inverno 1876/1877, non per ultimo sotto l'impressione del suo amico Paul Rée. Del resto, e con il grande malcontento di parecchi dei suoi primi discepoli, questo nuovo pensiero era stato da lui reso pubblicamente noto, nella forma letteraria per lui nuova dell'aforistica, in Umano troppo umano.

7. Nel già citato aforisma 628 lo scampanio di Genova richiama come contromossa, in Nietzsche, il rifiuto del mondo e il distacco da esso nel ricordo, per secoli attribuito alla Cristianità, così come una nostalgia verso questo mondo spirituale perduto. E ciò appare talmente potente e soprattutto ricolmo di malinconia che egli stesso con un ostinato «tuttavia» deve ricondurlo alla ragione, anche se, per lo meno in questo specifico punto, con un esito ancora aperto.

8. In questo aforisma D’Iorio sente trapelare anche reminiscenze letterarie, dal Lied von der Glocke di Schiller e dall'Epilog auf Schillers Glocke di Goethe. A queste possibili fonti si lascerebbe aggiungere ancora la grottesca ballata di Goethe Die wackelnde Glocke (in seguito Die wandelnde Glocke). Essa narra di come una campana di chiesa si renda autonoma e perseguiti aggressiva, in modo imperioso, un ragazzo che marina la visita in chiesa, fino al momento in cui egli non fa ritorno in chiesa pentito. La brama di libertà del ragazzo capitola di fronte al tintinnio della campana: la sua volontà di emancipazione è spenta dalla fede religiosa ed egli striscia così fino alla croce[3]. Più prossima è la mémoire involontaire di Nietzsche sotto l'impressione dello scampanio di Genova, ma probabilmente anche la scena in cui il Faust di Goethe viene distolto dal suicidio e restituito al mondo attraverso il rumore di campane «von Jugend auf gewöhnt», per quanto essa sia, riguardo al contenuto, contrastante[4].

9. Da un punto di vista biografico è evidente che si debba mettere in relazione, con D'Iorio, l'effetto delle campane di Genova con il ricordo, e proprio nella misura in cui il bambino Nietzsche sperimentava il suono delle campane di Röcken prima di tutto al funerale di suo padre. In entrambi i tentativi autobiografici ai quali si apprestò, il giovane Nietzsche faceva menzione della solennità del rintocco di campana: «Oh, non si perde mai quel suono cupo dal mio orecchio» - «Come mi penetravano nelle ossa le campane funebri! ...»[5].

10. Ma ora, in modo sorprendente, nell'aforisma 628 lo scampanio di Genova richiama alla memoria non il distacco dal mondo, quanto piuttosto due punti di Platone in cui si parla del rifiuto del mondo fenomenico. Per questo poteva essere del tutto adatta l'osservazione sprezzante di Nietzsche, tratta dalla Prefazione di Al di là del bene e del male, secondo la quale «il Cristianesimo è un platonismo per il popolo» (JGB-Vorrede); tuttavia tale osservazione è posteriore di dieci anni e senza dubbio non può avere a che fare con questo punto; essa peraltro impedirebbe anche di notare come è strano il fatto che le campane della chiesa di Genova non richiamino alla mente il distacco cristiano, quanto piuttosto quello di Platone.

11. Una soluzione dell'apparente contraddizione per cui attraverso il rintocco di campane della chiesa Nietzsche a Genova ricorda Platone, si può ricavare dall’aforisma «Balsamo e veleno» in Umano troppo umano II[6], che comincia: «Non ci si rifletterà mai abbastanza a fondo: il Cristianesimo è la religione dell’antichità invecchiata, suo presupposto sono popoli di civiltà degenerata e vecchia; su questi esso poté e può agire come un balsamo». Nell’ulteriore corso di questo pensiero si afferma: «Questo Cristianesimo, come risonare vespertino della buona antichità con una campana crepata, stanca e tuttavia di suono piacevole, è ancora, persino per colui che si aggira oggi per quei secoli solo storicamente, un balsamo per le orecchie: che cosa deve aver significato per quegli uomini stessi! [...] Il Cristianesimo ha dovuto contro la sua volontà aiutare a rendere immortale il “mondo” antico [...]». Sullo sfondo di questa riflessione diventa comprensibile come lo scampanio delle campane di Genova evochi in Nietzsche pensieri rivolti alla negazione platonica del mondo empirico. L'Antichità e il Cristianesimo non stanno più per lui in quella contraddizione certa così come avverrà successivamente. Insieme essi sono pertanto capaci di mettere in questione la nuova attenzione che Nietzsche ha verso il mondo in Umano troppo umano, per lo meno temporaneamente. La svalutazione di platonismo e cristianesimo nell'ultimo pensiero di Nietzsche aveva probabilmente anche il segreto scopo di sottrarre il corpo a certe tentazioni.

12. Gli ultimi attacchi di Nietzsche al cristianesimo appaiono da questa angolatura in una luce nitida. Essi non si orientano soltanto verso fuori, ma piuttosto ugualmente verso dentro e diventano prova del fatto che questa battaglia di Nietzsche con se stesso non fu mai decisa in modo definitivo[7].

13. Nella «tentazione» di Nietzsche attraverso i rintocchi di campana di Genova possiamo pertanto distinguere tre motivi: i primi ricordi d'infanzia della casa parrocchiale di Röcken, il rifiuto platonico della realtà che si dispiega davanti agli occhi e l'esilio dal mondo ascritto al cristianesimo. Da tutti e tre quello che in Umano troppo umano viene proclamato, quasi in un leitmotiv, come il nuovo “spirito libero”, doveva staccarsi, proprio mentre si rivolgeva a fenomeni e problemi di questo mondo e prendeva seriamente in considerazione questi ultimi in modo nuovo.

2. Gottfried Keller

14. È possibile confrontare l'aforisma di Nietzsche «Serietà nel giuoco» con il seguente passo tratto dal romanzo di Gottfried Keller Der grüne Heinrich, e osservare delle assonanze:

15. Mi era stata trasmessa questa predilezione (cioè del padre) per le festività e se un mattino di Pentecoste mi trovo sopra una montagna nell'aria cristallina, per me il rintocco delle campane suona nelle lontane profondità la musica più bella, e spesso ho più volte almanaccato per mezzo di quale costume, nel caso di una eventuale abolizione della religiosità, fosse possibile mantenere il suono delle campane. Tuttavia non mi è voluto venire in mente niente che non mi sia apparso folle o frutto di immaginazione e in ultimo trovavo sempre che il fascino malinconico dei suoni delle campane perdurasse ora nella situazione attuale, in cui essi suonavano dalle profondità azzurre fino a qui sopra e mi riferivano che lì il popolo se ne stava riunito in antiche memorie di fede. Nella mia libertà rendevo onore allora a queste memorie, come quelle dell'infanzia, e proprio per il fatto che io avevo divorziato da loro, le campane, che per così tanti secoli risuonavano nella bella e antica terra, mi facevano prendere dalla malinconia. Avvertivo come non si possa “fare” nulla, e come la caducità prodotta dall'eterno mutamento di tutto ciò che è terreno provveda ad un fascino poeticamente malinconico. (HKKA, 1, pp. 351-352[8])

16. Diverse dunque sono le assonanze con l'aforisma di Nietzsche «Serietà nel giuoco». E si può ammettere che anche questo punto di sia considerevolmente autobiografico[9].

17. Lo sguardo storico-retrospettivo di Keller ha il suo parallelo nell'aforisma 113 di Umano, troppo umano di Nietzsche, che così inizia:

18. Il Cristianesimo come antichità. Quando in un mattino di domenica sentiamo rimbombare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è mai possibile! Ciò si fa per un ebreo crocifisso duemila anni fa che diceva di essere il figlio di Dio. La prova di una tale asserzione manca. Sicuramente nei nostri tempi la religione cristiana è un'antichità emergente da epoche remotissime, e che si creda a quell'asserzione - mentre per il resto si è così rigorosi nell'esaminare ogni pretesa - è forse il frammento più antico di quest'eredità [...]. (MA-113)

19. Tuttavia, con l'aggressività di Nietzsche in questo aforisma e con la sua interrogazione di sé in «Serietà nel giuoco» contrasta ora nel modo più chiaro la sovrana accettazione che traspare nella reazione di Enrico il Verde di Keller al suono delle campane. È vero che egli non può più credere all'annuncio verso cui le campane richiamano, ed egli stesso si avverte come posto al di sopra. Tuttavia al popolo giù in fondo egli lascia le sue antiche pie memorie. E nella riflessione su questo contrasto il suono delle campane diventa per lui un fenomeno estetico del tutto interno al senso dell'affermazione di Kant per cui «bello è ciò che piace senza interesse», a cui egli potrebbe rinunciare così poco proprio in quanto egli riflette persino sulle possibilità di salvarlo al di là dell'era cristiana. A differenza di Nietzsche in «Serietà nel giuoco» l'Enrico il Verde di Keller non si vede di conseguenza in nessun modo posto in questione, nella sua nuova attenzione verso il mondo indigeno, dallo scampanio proveniente dal fondo. Al contrario anzi egli è in grado di classificare questo mondo nel corso della storia come distanza rispetto al passato. Per contrasto, questo passo di Keller può affinare in compenso lo sguardo sul fatto che in Nietzsche, in «Serietà nel giuoco», il conseguente senso storico rispetto all'idea di un processo storico in avanzamento ancora non può competere contro la potenza del suono di campane per lui così disorientante nella sua nuova fede.

20. Se in fin dei conti Enrico il Verde sente con lo sguardo sulla storia che non si può «fare» niente, che l'eterno mutamento di tutto ciò che è terreno si compie da sé, egli articola infine in questo modo il contrasto fondamentale che lo separa da Nietzsche. Nietzsche non confida più nell'eterno mutamento di tutte le cose, ma piuttosto intende se stesso, a partire da Umano troppo umano, sempre di più come soggetto attivo che è chiamato al «Fare» [Machen], ovvero ad accelerare il mutamento delle cose terrene, a sottometterlo alla sua volontà e a guidarlo in binari stabiliti. La violenza del filosofare di Nietzsche si alimenta qui della più intima convinzione di essere chiamati a intervenire attivamente nella storia in particolare per vincere il cristianesimo. Nei confronti del suono di campane egli conosce pertanto, in altri aforismi di Umano troppo umano, soltanto due reazioni: o il suono di campane mette in questione in maniera sostanziale lui e il suo messaggio, come nell'aforisma 628 dal quale siamo partiti, oppure è lui a trascinare dal suo lato nel ridicolo «le antiche campane», come accade nell'aforisma 113. Questo secondo atteggiamento diventa com'è noto la regola nell'ultimo lavoro filosofico di Nietzsche, anche quando il motivo delle campane scompare.

21. Gottfried Keller ha impiegato il motivo delle campane di chiesa anche una seconda volta nel suo ciclo di novelle Die Leute von Seldwyla [Gente di Seldwyla] (I edizione 1856). In Romeo und Julia auf dem Dorfe [Romeo e Giulietta al villaggio] si dice a proposito della passeggiata domenicale della giovane coppia di innamorati Sali e Vrenchen:

22. Presto essi furono in aperta campagna ed andavano silenziosi l'uno accanto all'altro attraverso i campi; era un bel mattino di domenica di settembre, in cielo non c'era una sola nuvola, le vette e i boschi erano ricoperti da tutta una trama di dolci profumi che rendeva il paesaggio misterioso e solenne, e da ogni parte risuonavano le campane della chiesa, qui il profondo armonico scampanio di un ricco villaggio, lì le due pettegole campanelle squillanti di un piccolo e povero paesucolo. La coppia innamorata dimenticò quello che doveva divenire alla fine di questo giorno e si abbandonò unicamente a quella gioia senza parole che risolleva il respiro, ben vestita e libera, come due esseri felici che di diritto si appartengono passeggiano per la domenica. Qualcuno nel silenzio domenicale mandava un suono morente o una voce lontana che li scuoteva fin dentro l'anima; poiché l'amore è un campanello che fa risuonare la cosa più distante e insignificante, trasformandola in una musica particolare. (HKKA 4, p. 135)

23. Qui lo scampanio domenicale non intende rammentare nulla di per sé né possiede qualcosa di minaccioso, per quanto la simpatia dei due giovani innamorati privi di mezzi sia in contraddizione con la morale dominante religiosa e borghese. Contribuisce anzi, come accompagnamento musicale, al loro momento di felicità, mentre ne accresce l'insistenza ottica e lo fa intimamente percepire. Così, mentre il suono di campane è ancora per così dire avvertito soltanto in quanto musica, esso diventa come l’espressione della momentanea armonia col mondo, e in questo senso del suo proprio valore, così come, al contempo, della stessa lingua dell'anima. Il rumore delle campane ha perduto interamente l'attitudine alla negazione del mondo che Nietzsche a Genova distingueva attraverso di esso.

24. E ancora una volta il motivo delle campane appare in Keller verso la conclusione della novella Das verlorene Lachen, nel secondo volume della Leute von Seldwyla (prima edizione 1874). Lì le campane annunciano la riconciliazione della coppia separata, Jukundus e Justine, che si profila in uno splendente mattino domenicale. Di Justine, la quale va incontro al suo perduto e ora ritrovato Jukundus, si dice:

25. Così lei passeggiava nella gioiosa attesa nel silenzio del mattino domenicale. Dovunque si guardasse, il terreno era dappertutto coperto di fiori, dai quali proprio ora gli alberi che appassivano soffiavano via le fioriture, quando si alzò un alito di vento. Allora le campane della chiesa cominciarono a suonare nelle vicinanze e lontano, tutto intorno per il lago disteso e nei villaggi immersi in un bianco chiarore; i profondi, nitidi suoni delle potenti campane affluivano insieme e riempivano lontani e ampi l'aria come un infinito mare di suoni che si gonfiava su per il cuore palpitante di Justine, minacciando di trascinarlo indietro nella sua profondità. Tuttavia Justine non tornava indietro, ma piuttosto si affrettava, sostenuta dalle onde sonore, verso l'uomo che aveva perduto e che adesso si avvicinava a passo veloce nel chiarore del sole mattutino. Non appena essi si accolsero l'un l'altro, nei loro volti ritornò la perduta risata del passato, e si abbracciarono e si baciarono affettuosamente. [...]. Il suono delle campane si perdeva nel frattempo a poco a poco dietro di loro attraverso le zone boscose, come quando tutto finisce, e appena l'ultimo suono morì con un unica nota finale, si ritrovarono allora dentro il silenzio profondo, che adesso cominciava. (HKKA 5, pp. 351-352)

26. Anche qui il suono di campane ricorda ancora solo lontanamente la sua funzione per la messa e soprattutto per la celebrazione religiosa del matrimonio. Questa si compie ora però all’aperto, legittimata unicamente dalla libera volontà dei due interessati, senza cerimonie e senza bisogno della benedizione religiosa. Il suono di campane diventa per così dire anche qui una pura musica di accompagnamento. Solo per un momento il suono delle campane minaccia il cuore di Justine «di trascinarlo indietro nella sua profondità». Il che ricorda da lontano la tentazione prodotta in Nietzsche dalle campane di Genova; ma ancora fino a poco prima Justine, per quanto inutilmente, e in quella forma di devozione caritatevole caratteristica del cristianesimo primitivo, aveva cercato pace per la sua anima confusa presso un pastore che però si dimostrava privo di fede. Ciò nonostante essa resiste ora a quel ritorno nel cristianesimo che il suono di campane suscita in lei, così che questo serve ancora solo all'elevazione della sua interiorità e al rafforzamento del suo rinnovato amore per Jukundus. Anche qui nel suono di campane la sua provenienza cristiano-religiosa è «preservata»: quel suono è diventato come l'espressione dell'armonia tra gli innamorati. Ciò viene mostrato anche dalla maniera precisa, concreta, con cui Keller ne racconta. Il silenzio, che più tardi comincia, fa sì che l'attenzione degli innamorati di nuovo riuniti si rivolga a maggior ragione al loro ambiente più vicino.

27. In Gottfried Keller il significato del suono di campane si è così, di conseguenza, fondamentalmente trasformato. La sua funzione tradizionale, valida fino alla soglia del presente di cui si narra, quella di convocare le persone per la messa, è risospinta lontano nel tempo e nello spazio. Con ciò le campane che suonano sono divenute anche qui un fenomeno estetico, che contribuisce all'elevazione della bellezza di quei momenti di felicità di cui si fa esperienza. In questo nuovo significato, sganciato da quello precedente, non solo lo scampanio può, ma piuttosto deve, in futuro, esplicitamente risuonare.

3. Franz Overbeck

28. Con Gottfried Keller si può gettare un ponte verso l'amico basileese di Nietzsche Franz Overbeck; poiché Gottfried Keller era, mi sembra, l'unico scrittore contemporaneo verso il quale Overbeck professava di essere privo di riserve. Questa ammirazione per Keller egli la condivideva con Nietzsche, anzi forse la stessa predilezione di Overbeck per Keller era da questi ridestata. Nel cosiddetto Kirchenlexikon di Overbeck, quell'immensa scatola di foglietti che egli ha alimentato per tutta la sua vita con i suoi appunti di lettura, si trovano numerose citazioni dalle opere di Keller, soprattutto dalla seconda stesura del Der grüne Heinrich così come dalla biografia di Gottfried Keller redatta da Jakob Bächtold[10]. Ma prova di una intensa lettura di Keller da parte di Overbeck sono innanzitutto diciannove dettagliati estratti privi di data tratti dalla prima versione del Der grüne Heinrich (1853-55), e che si trovano nel suo lascito[11].

29. Overbeck lesse evidentemente la storia della gioventù di Enrico il verde, narrata in prima persona, non tanto come romanzo, quanto piuttosto come la conoscenza di se stesso del suo autore, forse addirittura in analogia con le Confessioni di Agostino. Ma al contrario di queste, così come sono documentate, come un graduale allontanamento interiore dal Cristianesimo. Overbeck prese nota non solo di lunghi passi del testo, ma portò alla luce, sottolineandoli, dei punti esatti, con cui è lecito presumere fosse in accordo. Così per esempio il commento critico di Enrico sull'insegnamento per i confermandi, dove si dice:

30. Ciò che sotto lontane palme orientali millenni prima era stato fantasticato e messo per iscritto, in parte di quanto era accaduto, in parte di sacri sogni, un libro di leggende, fragile e vaporoso, e saggio come tutte le leggende, diveniva qui la più alta e seria esigenza della vita, la condizione prima dell'essere cittadini, discussa parola per parola, e la fede era in seguito a ciò regolata con la massima esattezza. [...] Quello che era come il documento storico di sogni spirituali passati, della più grande maestria poetica e della sobrietà artistica della ragione, se si fosse autorizzati a guardarlo con spregiudicatezza, diventerebbe penetrante realtà presente con un colpo verso una inquietante assurdità[12]. (HKKA, vol. 11, p. 385)

31. In questo passaggio Overbeck ritrovava la propria convinzione rispetto al percorso storico della Chiesa. Essa si fondava, per dirla in breve, sul fatto che solo il cristianesimo primitivo, che aveva fatto saldamente i conti con i mondi vicini e non era perciò entrato in relazione con il «mondo», fosse stato il vero cristianesimo, e tutto ciò che ne seguì, l'intera storia della Chiesa fino ad oggi, non era altro che una prova della sua decadenza. Nella perdita della fede che Enrico il verde descrive, Overbeck poteva evidentemente riconoscere la propria. E la critica di Enrico alle istituzioni religiose gli poteva apparire come una anticipazione della sua stessa critica all'attuale teologia protestante, come quella che egli aveva pubblicamente fatto nel 1873 nel suo «scritto», sorto sotto l'influsso di Nietzsche, che portava il titolo Über die Christlichkeit unserer heutigen Theologie.

32. Ora, tra gli estratti che Overbeck fa dall'opera di Keller si trova anche il passo sopra citato di Der grüne Heinrich, dove al rintocco delle campane diventa evidente ad Enrico il mutamento di tutto ciò che è terreno e soprattutto il divenire storico del Cristianesimo, nel senso che nei rintocchi delle campane delle chiese un avanzo delle passate epoche cristiane si innalza fin nel presente. Ciò corrispondeva esattamente alla concezione di Overbeck di «finis christianismi», per cui tuttavia questa non era incominciata per lui solo nel XIX secolo, ma piuttosto già all'inizio della Chiesa antica. In modo analogo Overbeck fu del resto successivamente critico anche di fronte ai tentativi di Nietzsche, con Così parlò Zarathustra, di essere il fondatore di una nuova religione che doveva sostituire il Cristianesimo. A differenza di Nietzsche, Overbeck vide il suo compito storico nel sopportare, con la decadenza del cristianesimo primitivo, il vuoto di fede sviluppatosi e nel difendere questo attraverso la critica di tutti i moderni tentativi teologici di riempirlo nuovamente.

33. A prescindere da questi estratti da Keller, nel Kirchenlexicon di Overbeck ce n’è uno solo che riguardi il suono delle campane, e inoltre in quella nota molto tarda che va sotto la voce «Campane, costume religioso». Si tratta di un appunto di letture tratto dallo scritto del monaco di Reichenau Walahfrid Strabone (808-849 circa) Liber de exordiis et incrementis quarundam in observationibus ecclesiasticis rerum, nell'edizione di Aloisius Knoepfler (Monaco, 1890)[13]. Overbeck se ne annotava il passo seguente: «Secondo Walafrid Strabone ... l'usanza di convocare la comunità alla messa attraverso campane (vasa) è a poco a poco accolta, e di certo, come si dice, in primo luogo in Campania, dopodiché chiamano le campane grandi campanae e le piccole nolae». In Strabone l'osservazione esplicativa precede quelle frasi in cui si dice che presso i primi cristiani le campane non fossero state in uso, come si pensa, in quanto le loro riunioni erano meno frequenti rispetto ad oggi.

34. Qui Overbeck non fa ulteriori commenti su questo tardo appunto di lettura e si può solo presumere che a renderglielo degno di nota fossero le sue riflessioni. L'origine delle campane religiose, che per Nietzsche e Keller erano una unica cosa con il Cristianesimo, per cui questo si perpetuava nel modo più sicuro per loro nel loro risuonare, era secondo Strabone, proprio a causa del loro nome, innanzitutto di provenienza italiana, quindi medievale. Esse appartenevano pertanto ad una epoca successiva del Cristianesimo, e proprio per questo non potevano più per Overbeck possedere un valore cristiano originario. Anche in questo passo sulle campane tratto da Strabone, Overbeck poteva aver trovato conferma riguardo la sua convinzione di fondo per cui quello che nel presente aveva un valore cristiano, non avesse nulla a che vedere con l'originale, con il cristianesimo primitivo, ma fosse ormai più o meno chiaramente percepibile come compiuta non cristianità. Inteso in questo modo, l'estratto di Overbeck posto sotto la voce «Campane, costume religioso» costituirebbe un ulteriore apporto della sua critica radicale alla comprensione moderna del cristianesimo.

35. Tuttavia nell'epistolario tra Nietzsche e Overbeck vi è solo una incidentale, e tuttavia singolarissima menzione delle campane di chiesa. Il 7 aprile 1879, nell'anno di pubblicazione di Umano troppo umano, da Basilea Overbeck scriveva a Nietzsche, il quale si trovava a Ginevra:

36. Sono stato molto occupato la settimana scorsa in un saggio sull'amicizia cristiana tra Agostino e Girolamo... nello stesso tempo sono caduti nei miei granai un paio di chicchi per un saggio sull'amicizia cristiana. Il Cristianesimo sublima tutte le cose, ma in fondo esso rimane in ciò presso gli antichi: lo osservo di nuovo anche qui. Poiché anche noi restiamo in questo nel paganesimo. (BAN-1879,1179)

37. Con questo si doveva intendere probabilmente che l'amicizia, la stessa dei grandi padri della chiesa, era effettivamente di origine antica, cioè non cristiana, e ciò doveva valere anche per l'amicizia tra Nietzsche e Overbeck. Nietzsche rispondeva a stretto giro di posta: «Caro amico, ora abbiamo di nuovo un desiderio in comune: che qualcuno comprenda e risvegli il sovrabbondante filosofare dell'Antichità sull'amicizia: deve dare un suono come di cento diverse campane»[14]. Le campane sono qui certamente soltanto oggetti di paragone per ciò che doveva produrre una pubblicazione di un'antica testimonianza di amicizia. Ciò nondimeno il paragone con le campane è rivelatore. Ci fa capire che Nietzsche, anche se metaforicamente, poteva sempre immaginare di costruire, in una nuova comunità trasformata e fondata su antichi modelli, ancora una funzione analoga al suono religioso delle campane, per così dire una trama di suoni, dietro la quale ritrovare uniti gli individui di una nuova «Chiesa»[15].

4. Conclusione

38. A considerare insieme, con riguardo ai rintocchi religiosi di campane, le osservazioni qui discusse di Friedrich Nietzsche, Gottfried Keller e Franz Overbeck, si produce in effetti una immagine sorprendente. A ottenere l'adesione del Nietzsche di Umano troppo umano è il rintocco di campane di Genova e ciò che tale rintocco annuncia come urgente attualità. Esso è riuscito almeno per un momento a porre in questione, anzi a scuotere, in modo serio, lo svincolarsi di Nietzsche dall'immagine cristiana del mondo, dalla devozione della sua estrazione e dal platonismo, e con questo la sua nuova svolta positiva verso i fenomeni della realtà contemporanea. Ciò ha reso possibile chiarire la violenza con cui egli in seguito si è sempre rivolto contro il Cristianesimo. Per Gottfried Keller il messaggio cristiano, annunciato dallo scampanio delle chiese, appartiene ad un’epoca certamente ancora vicina nello spazio e nel tempo, eppure tuttavia definitivamente perduta. Le campane che suonano sono però ancora percepite come fenomeno estetico, come armonia che può contribuire all'intima felicità e a un temporaneo splendore del mondo terreno dispiegato di fronte agli occhi. In questo Overbeck si avvicina, se è lecito interpretare così il suo estratto dal Der grüne Heinrich, a Gottfried Keller, anche se probabilmente soltanto in parte. Per Overbeck appare adesso evidente nel suono di campane, anche un fenomeno relativamente tardo dal punto di vista della storia della Chiesa: il fatto che già da tempo il Cristianesimo si era estraniato dalle sue radici affondate nel cristianesimo primitivo.

[1]Un stadio iniziale con altri finali in NF-1877,22[45].
[2]Paolo D’Iorio, Le voyage de Nietzsche à Sorrente. Genèse de la philosophie de l'esprit libre, Paris, CNRS Éditions, 2012, pp. 157-220.
[3]Cfr. Johann Wolfgang von Goethe, Sämtliche Werke. Münchner Ausgabe, Bd. 23.3, p. 317ss.
[4]Cfr. J. W. v Goethe, Faust I, V, pp. 738-784.
[5]KGW I/1, p. 286; I/2, p. 260 .
[7]Non si dovrebbe attribuire questa combinazione di circostanze a quella per cui Nietzsche discendeva da una famiglia di pastori protestanti. In cambio parla il dato di fatto che la letteratura tedesca del XVIII e XIX secolo era in larga parte prodotta da figli di pastori, il che indica come questa socializzazione potesse operare in modo differente e come la sua tarda elaborazione potesse essere individualmente assente. cfr. Albrecht Schöne, Säkularisation als sprachbildende Kraft. Studien zur Dichtung deutscher Pfarrersöhne, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1958.
[8]Historisch-Kritische Gottfried Keller-Ausgabe, (HKKA), a cura di Walter Morgenthaler et. al., NZZ Verlag/ Stroemfeld, Zürich/Frankfurt, 1996-2013, 1, pp. 351-352; passo parallelo nella prima stesura HKKA, 11, p. 403.
[9]La combinazione familiare di Gottfried Keller era particolarmente analoga a quella di Nietzsche: prima la morte del padre, così caratterizzante, una madre sola di una infermiera, che innanzitutto nel Der grüne Heinrich diventa una figlia di pastore, un'unica sorella senza mestiere. Che è da Nietzsche menzionata nel citato aforisma sul presunto ricordo del padre precocemente morto, e in Keller espressamente. Così come in Nietzsche esso è «pieno di malinconia», in Keller il suono di campane viene detto «malinconico», e l'«infantile» di Nietzsche ha una corrispondenza nella locuzione di Keller «come quella dell'infanzia».
[10]Cfr. Jacob Bechtold, Gottfried Kellers Leben. Seine Briefe und Tagebücher, 3 voll., Wilhelm Hertz, Berlin, 1894-1897.
[11]Questi fogli con le citazioni autografe di Overbeck si trovano nella prima stesura del romanzo di Gottfried Keller sotto la voce convenzionale A 271 presso il Overbeck-Nachlass alla UB Basel. Cfr. su questo Karl Pestalozzi, “Stille Grundtrauer”. Franz Overbecks Lektüre des “Grünen Heinrich”, in Thomas Karl Kuhn, Martin Sallmann (a cura di) Religion in Basel. Ulrich Gäbler zum 60. Geburtstag, Schwabe, Basel, 2001, pp. 69-72.
[12]Sottolineato nell'originale dallo stesso Overbeck.
[13]Il brano, non compreso nella Overbeck-Ausgabe si trova presso l'Overbeck-Nachlass alla UB Basel. Questa è in possesso anche del volume corrispondente del lascito di Overbeck, alla voce Fe VI 64. In un biglietto incollato Overbeck prendeva tuttavia nota, contro l'opinione di un recensore: «né attraverso la coscienziosità né tantomeno per mezzo dell'erudizione».
[14]Katryn Meyer, Barbara von Reibnitz (a cura di), Friedrich Nietzsche, Franz und Ida Overbeck. Briefwechsel, Metzler, Stuttgart 2000, p. 85; cfr. anche l'introduzione di Rudolf Brändle al saggio di Overbeck Aus dem Briefwechsel des Augustin mit Hieronymus (1879), in Franz Overbeck, Werke und Nachlass, 2, Metzler, Stuttgart 1994, pp. 335-342.
[15]Il paragone di Nietzsche lascia pensare, a dire il vero sotto i segni dell'era cristiana, al preambolo del romanzo di Thomas Mann Der Erwählte [L'eletto], S. Fischer, Frankfurt, 1951, p. 9 e s., dove «lo spirito del racconto» impegna tutte le campane di Roma in una oscillazione sonora.